17--9--2019
Di giorno sei la voce che corre
sussurrando tra la folla,
silenzio che lento si chiude
in se' dopo il battito dell'ora.
E più il giorno s'avvicina con gesti
sempre più stanchi alla sera
tanto più sei presente, Dio. Da tutti
i tetti s'alza come fumo il tuo regno.
Non angosciarti, Signore. Essi dicono mio
a tutto ciò che è paziente.
Sono come il vento che accarezza i rami
e dice : albero sei mio .
Notano appena
che tutto quel che toccano brucia
e che senza scottarsi non possono tenerlo
in mano neppure per l'orlo estremo.
Dicono mio come a volte qualcuno
parlando con dei contadini definisce
amico un principe grande--e molto lontano.
Chiamano miei i loro muri estranei
e non sanno chi è il padrone della loro casa.
Chiamano mie, e credono di possederle,
quelle cose che si negano se le avvicinano,
così come un ciarlatano fesso
forse chiama suo il sole e il lampo.
E dicono : la mia vita, la mia donna,
il mio cane, il mio bimbo e sanno bene
che ogni casa: vita , donna, cane e bimbo
sono immagini estranee
contro cui sbattono ciechi e a mani tese.
Solo i grandi che anelano ad avere occhi
sanno cos'è la certezza. Perché gli altri
non vogliono credere che il loro misero vagare
non abbia nulla da spartire con le cose intorno,
e che private dei loro averi
non riconosciuti dai loro beni
posseggono una donna quanto la vita
a tutti misteriosa di un fiore.
Non perdere il tuo equilibrio , Dio.
Non ti possiede neppure chi ti ama
e ti riconosce al buio oscillando
come un lume al tuo respiro.
E se uno t'afferra nella notte
costringendoti nelle sue preghiere
tu sei l'ospite
che poi riparte.
Chi può trattenerti , Dio? Sei tuo,non c'è mano che ti obblighi
e, come vino immaturo e sempre
più dolce, appartieni solo a te stesso.
Monte immobile quando si mossero i monti--
pendio senza capanne , vetta senza nome,
neve eterna in cui languono le stelle,
sostegno della valle di ciclamini
da cui s'alza il profumo della terra,
bocca d 'ogni monte e minareto
(da cui mai risuonò la preghiera della sera);
cammino in te ora? Sono nel basalto
come un metallo non ancora scoperto?
Riempio riverente le pieghe della tua roccia
e sento ovunque quanto sei duro.
O è la paura in cui sprofondo?
La fonda paura delle grandi città
in cui mi hai immerso fino al mento?
Se qualcuno t'avesse detto
del loro vuoto e della loro follia
ti saresti levato , tempesta dell'origine,
e le avresti scacciate via come baccelli.....
Ma se vuoi qualcosa da me : parla--
non sono più padrone della mia bocca
essa vuole chiudersi come una ferita,
e le mie mani disubbidienti a ogni richiamo
si stringono ai fianchi come cani.
Mi costringi a un'ora estranea, Signore.
Perché, Signore , le grandi città
sono perdute e sfatte;
fuga dalle fiamme è la più grande--
e non c' è niente che le consoli
e il loro breve tempo scorre.
Vi abitano uomini male e a fatica
in stanze buie, con gesti angosciati,
più impauriti di un gregge d'agnelli,
fuori veglia e respira la tua terra
ma loro vivono e non lo sanno.
A finestre sempre immerse
nella stessa ombra crescono bimbi
inconsapevoli che fuori i fiori
invitano a giorni vasti , felici e ventosi--
dovrebbero esser bimbi e sono tristi!
Vi fioriscono vergini per uomini sconosciuti,
bramano la quiete della loro infanzia
ma non hanno ciò per cui arsero
e si richiudono tremando.
E nascondono nel fondo delle stanze
i giorni della loro maternità delusa,
fiacchi gemiti di lunghe notti,
anni gelidi senza lotta e forza.
E nel buio vi sono i letti di chi muore,
e vanno verso d'essi lentamente
morendo piano , come in catene,
come mendiche se ne vanno.
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