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venerdì 25 ottobre 2019

CANTI DI GIACOMO LEOPARDI 1°

25----10---2019

Canto notturno 
di un pastore  errante  dell'Asia

Che    fai  tu, luna, in ciel?  dimmi, che fai ,
Silenziosa  luna?
Sorgi  la sera, e vai,
Contemplando  i  deserti; indi  ti  posi.
Ancor  non  sei  tu paga
Di  riandare  i  sempiterni  calli?
Ancor  non  prendi  a  schivo , ancor  sei vaga
Di  mirar  queste  valli?
Somiglia  alla  tua  vita
La  vita  del pastore.
Sorge  in  sul  primo  albore;
Move  la  greggia  oltre  pel  campo, e  vede
Greggi, fontane, ed  erbe;
Poi  stanco  si  riposa  in  su  la sera:
Altro  mai  non  ispera.
Dimmi  , o luna: a  che  vale
Al  pastor  la sua  vita,
La  vostra  vita  a  voi?  dimmi: ove tende
Questo  vagar  mio breve,
Il tuo  corso  immortale?

  Vecchierel  bianco, infermo,
Mezzo  vestito  e scalzo,
Con  gravissimo  fascio in su  le spalle,
Per montagna  e per  valle,
Per sassi  acuti , ed  alta  rena, e  fratte,
Al vento, alla tempesta, e  quando  avvampa
L'ora , e quando poi gela,
Corre  via , corre , anela,
Varca  torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più  e più s'affretta,
Senza posa  o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin  ch'arriva
Colà  dove  la via
E dove il  tanto  affaticar fu volto:
Abisso orrido , immenso,
Ov'ei  precipitando, il  tutto  obblia.
Vergine  luna, tale
è la vita  mortale.
 
  Nasce  l'uomo a fatica,
Ed  è  rischio  di  morte  il nascimento.
Prova  pena  e  tormento
Per  prima  cosa; e  in  sul  principio  stesso
La madre  e  il genitore
Il prende  a  consolar  dell'essere nato.
Poi  che  crescendo  viene,
L'uno e l'altro  il  sostiene , e  via  pur  sempre
Con  atti  e  con  parole
Studiasi  fargli  core,
E  consolarlo  dell'umano  stato:
Altro  ufficio  più  grato
Non  si fa da  parenti alla  lor   prole.
Ma  perché  dare al sole,
Perché  reggere  in  vita
Chi  poi  di  quella  consolar convenga?
Se  la vita è  sventura,
Perché  da  noi  si dura?
Intatta  luna , tale
è lo stato  mortale .
Ma  tu  mortal non sei,
E forse  del mio dir  ti  cale.

  Pur tu,  solinga, eterna  peregrina,
Che  si  pensosa  sei , tu  forse intendi,
Questo  viver terreno,
Il patir  nostro, il  sospirar, che  sia;
Che sia  questo morir,  questo  supremo
Scolorar del  sembiante,
E  peri dalla  terra , e  venir  meno
Ad  ogni usata , amante  compagnia.
E tu  certo  comprendi
Il perché  delle  cose , e  vedi il frutto
Del  mattin, della  sera,
Del  tacito , infinito  andar  del tempo.
Tu sai,  tu  certo , a  qual  suo  dolce  amore
Rida  la  primavera,
A chi  giovi  l'ardore, e  che  procacci
Il verno co'  suoi  ghiacci.
Mille  cose  sai  tu , mille  discopri,
Che  son  celate  al  semplice  pastore.
Spesso  quand'io  ti  miro
Star  così  muta  in  sul  deserto piano,
Che  , in  suo  giro  lontano, al ciel  confina;
Ovver con  la mia greggia
Seguimi  viaggiando a mano  a mano;
E   quando  miro in cielo   arder  le stelle;
Dico  fra me  pensando:
A  che  tante  facelle?
Che fa  l'aria  infinita, e  quel  profondo
Infinito  seren?  che  vuol  dir  questa
Solitudine  immensa? ed  io  che  sono?
Così meco  ragiono: e  della  stanza
Smisurata e superba,
E  dell'  innumerabile  famiglia;
Poi  di  tanto  adoprar,  di  tanti  moti
D'ogni  celeste, ogni  terrena  cosa,
Girando  senza  posa  ,
Per  tornar  sempre  là  donde son  mosse;
Uso  alcuno,  alcun  frutto
Indovinar non  so.  Ma  tu  per  certo,
Giovinetta  immortal  ,conosci  il tutto.
Questo  io  conosco e sento,
Che  degli  eterni  giri,
Che  dell'esser mio  frale,
Qualche  bene  o  contento
Avrà  fors' altri  ; a me  la vita  è male.

  O  greggia  mia  che  posi , oh te  beata,
Che la  miseria  tua,  credo  , non sai!
Quanta  invidia  ti porto!
Non  sol  perché  d'affanno
Quasi  libera  vai;
Ch '  ogni   stento , ogni  danno,
Ogni  estremo  timor  subito   scordi;
Ma più  perché  giammai  tedio  non  provi ,
Quando  tu  siedi  all'ombra  , sovra  l'erbe,
Tu  se' queta  e contenta;
E  gran  parte  dell'anno
Senza  noia  consumi in  quello  stato.
Ed  io  pur  seggo sovra  l'erbe ,  all'ombra,
E  un  fastidio  m'ingombra
La   mente , ed uno spron  quasi  mi punge
Si  che,  sedendo,più  che  mai  son  lunge
Da  trovar  pace  o  loco.
E pur  nulla  non bramo,
E  non ho fino a qui cagion  di  pianto.
Quel  che  tu  goda o  quanto,
Non  so  già dir ; ma  fortunata  sei.
Ed  io godo  ancor  poco,
O greggia  mia , ne' di  ciò  sol mi lagno.
Se  tu  parlar  sapessi, io chiederei:
Dimmi : perché giacendo
A  bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale,
Me, s'io  giaccio in  riposo, il tedio  assale?

    Forse s'avess'io  l'ale
Da volar  su  le nubi,
E  noverar  le stelle ad  una  ad una,
O  come  il  tuono errar  di  giogo in giogo,
Più  felice  sarei, dolce mia  greggia,
Più felice  sarei , candida  luna.
O  forse  erra dal  vero,
Mirando  all'altrui  sorte, il mio pensiero:
Forse  in  qual  forma , in  quale
Stato  che  sia, dentro  covile o cuna ,
è funesto  a  chi nasce il dì natale.

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