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sabato 28 dicembre 2019

IL SISTEMA DEMOCRATICO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA: " I PARTITI POLITICI " di : Alberto Romagnoli 3°

28--12--2019
La  funzione  dei  partiti politici:

La  nostra  Costituzione,  a    differenza  di molte  altre  che  tacciono  ogni  riferimento  ai  partiti, all'art,  49   dispone  che:"  tutti  i cittadini  hanno  il diritto  di  associarsi  liberamente  in partiti  per  concorrere  con  metodo  democratico  a  determinare la  politica  nazionale". I  partiti  nascono  dalla  necessità  d'indirizzare  i cittadini  verso  alcune  idee  fondamentali  circa  il modo  di governare  lo Stato.  Non  è possibile  pensare  che,  al momento  delle  elezioni  dei  rappresentanti  o  di  altre  gravi  decisioni, ogni  individuo  segua  un suo  pensiero isolato; è facile  capire che  dalle  espressioni  di  una  massa  non ordinata  secondo  precisi  orientamenti  politici  nascerebbe  semplicemente  il  caos.  Si  presentano  idee, problemi , difficoltà , metodi  di  lotta  nella  vita  politica  intorno  a  cui  concordano  gruppi  ed  è  allora  naturale  che  questi  si  associano  per  seguire  una via  piuttosto  che  un' altra.
Ci si trova  tutti d'accordo  nel pensare  che  i partiti  debbono  essere l'espressione  d'un  paese  politicamente educato e  che  non  debbano  agire  per  proprio  vantaggio,  ma  che,  pur  aderendo a certi interessi  e a  un  determinato ceto  sociale , debbono  sempre mirare al  rafforzamento  dell'autorità dello Stato e al bene generale.
Attraverso  la lotta   dei partiti si  educa  politicamente  un popolo,  ed  in  virtù  della  loro  ascesa al potere  si  attua  la  circolazione  delle  classi  elette.  Cesare  Balbo  scrisse che  è merito  dei  governi  rappresentativi  far  sì che  i partiti  salgano  dalla  piazza  alle  ordinate  competizioni  parlamentari,  così  come  è  frutto  di  un'elevata  educazione  politica il  ridurre  dei  molti partiti  a due  soli,  quello che è  al  governo  e quello che  siede  all'opposizione.  Si  palesa  qui l'aspirazione  , particolarmente  cara  a  molti  uomini  politici  italiani  , prima  e dopo  il Risorgimento , che  anche  presso di noi  si  arrivasse  , sul  modello  inglese, al  sistema  della   dualità  e non  della  molteplicità  dei partiti. Ma   non  basta la  constatazione  della  bontà  d'un  sistema  in  un  certo  paese,  perché  lo si  possa  trapiantare  e far  vivere  utilmente  altrove. D' altra  parte la  molteplicità  dei  partiti nasce  dal rispetto  stesso  della  concezione  democratica, per la  quale  la  volontà  comune  s'intende  come  la  risultante  del  dibattito  fra  idee  contrastanti. Soltanto  è  desiderabile che  i  contrasti  fra  i partiti  non  si  estendono ai  principi  fondamentali  sui quali  è  costruito lo Stato,  poiché  il  rispetto  delle  minoranze non è  in pratica  possibile  quando  esse  siano  animate  da  volontà  di  sovvertimento  violento. La  pluralità  dei  partiti  non dovrebbe  però  significare  troppo  facili  scissioni così  da  dar  luogo  a sempre  nuove  proliferazioni,  come  è  difetto  della  vita  politica italiana;perché  questo  non  avvenisse  basterebbe  che,  entro  partiti  ben  connessi  , ordinati e robusti  , trovano respiro anche  le correnti e i  gruppi  che  non  sono  d'accordo su  aspetti  secondari  dei  problemi, o  su  questioni  di metodo.
Il fatto  si è  che  nella  storia  dei  partiti  italiani dopo  il 1867  si  riassume  la storia  stessa  del nostro paese , del suo  partecipare  alle  nuove  correnti  europee e internazionali, del suo  sforzo  di  suscitare  quel  moderno  organismo statale che  era  compito  di un'Italia ormai  libera  dai  tristi ricordi  d'un passato  di divisioni  interne  e di dominazioni  straniere.
I partiti  politici italiani , perseguitati  e poi  soppressi  durante il  ventennio  fascista  , risorsero  nel  1945  , dopo aver  vissuto  una  vita  clandestina  o in  esilio,e  aver esplicato  un'azione  più  o men vivace e operosa entro  le organizzazioni  della Resistenza.
Ogni  programma  politico  deve  ammettere  in sé una certa  elasticità  per cui  , senza tradire  i suoi principi  fondamentali, sia  tuttavia  in grado  d'adeguarsi  ai  tempi  e alle  circostanze  , d'accettare  compromessi  su  questioni  non essenziali, di  non respingere utili  contributi  che  gli  vengano  da altre  parti. è  facile  capire  che  una  rigida  intransigenza  manterrebbe   di continuo  la vita  politica sul terreno  della lotta e  costringerebbe a  forme  illecite  di  reciproca  sopraffazione, fino a  non  veder  altra  soluzione  fuor  del ricorso  alla violenza.  Una  ragionevole  accettazione  del  compromesso  in  politica  non si deve  confondere  col  trasformismo,un morbo  che  adugiò  la vita politica per lunghi  anni: il governo  si   appoggiava  di volta in volta  a  frazioni  e a  gruppi  politici , prescindendo  da  un netto  orientamento  politico , al  solo scopo  di mantenersi  , con  favori  e lusinghe, una  sufficiente  maggioranza  parlamentare.
Volendolo  definire  secondo la morale  ,  trasformismo è  l'abito  politico  di chi è pronto  a  scendere  a  patteggiamenti non  sempre  onorevoli  o  a  presentarsi  in nuove vesti (camaleontismo) pur  di  restare  al potere o esercitare influenza.

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