16--4--2024
Le case erano buie, umide e fredde d'inverno. I tavoli dove mangiavamo avevano spacchi verticali di cui ci accorgevamo soltanto le rare volte che scrivevamo una lettera . Ma pulite ed in ordine , le nostre case , curate dalle nostre mamme che avevano i capelli grigi e uno scialle buttato sulle spalle . Nella stanza da pranzo che noi chiamavamo il salotto , c'era un divano , con la trina alla spalliera e i mattoni rossi di cinabrese , le fotografie incastrate ai vetri della credenza , una sveglia . Il canto delle sorelle , che più a lungo potevamo udire al mattino della domenica , era una cosa allegra che ringiovaniva le stanze , coloriva di parati le mura gialline.
Facevamo poco conto della casa . Nemmeno ci accorgevamo che le lampadine economiche vi spandevano una luce che rendeva impossibile distinguere da un angolo all'altro delle stanze , né lavarci nell'acquario era un fatto che potesse deluderci . Il nostro lettino , che aveva un crocifisso o un santo inchiodato da capo , con un ramoscello d'ulivo per traverso , conosceva le nostre speranze , inseguite contando le crepe del soffitto . Un cassetto del comò ci apparteneva ; a cominciare da una certa età ne portavamo in tasca la chiave per serbarvi il segreto di alcune fotografie che ci erano dedicate . La casa significava i volti che le sue stanze ospitavano , e noi le volevamo bene per questo.
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