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martedì 6 ottobre 2020

ALLA PRIMAVERA, O DELLE FAVOLE ANTICHE "CANTI" di Giacomo Leopardi

 6---10---2020

    Perché  i celesti  danni
Ristori  il sole ,  e  perché   l'aure  inferme
Zefiro   avvivi, onde  fugata  e  sparta
Delle  nubi la grave  ombra  s'avvalla;
Credano  il petto  inerme
Gli  augelli  al  vento  , e  la diurna  luce
Novo  d'amor desio,  nova  speranza 
Ne'  penetrati boschi  e  fra  le  sciolte
Pruine  induca  alle    commosse  belve;
Forse  alle  stanche  e nel  dolor sepolte
Umane  menti  riede
La  bella  età , cui  la sciagura  e l'atra
Face  del ver consunse
Innanzi   tempo?  Ottenebrati  e spenti
Di febo  i raggi  al misero  non sono 
In  sempiterno?   ed anco,
Primavera odorata  , inspiri  e  tenti 
Questo  gelido cor, questo  ch'amara
Nel  fior  degli  anni  suoi vecchiezza  impara?

            Vivi  tu , vivi, o santa
Natura? vivi  e il  dissueto orecchio
Della  materna  voce  il suono accoglie?
Già  di candide  ninfe i rivi  albergo,
Placido  albergo  e specchio
Furo  i liquidi  fonti . Arcane  danze 
D' immortal  piede i  ruinosi gioghi
Scossero  e  l'ardue  selve  (oggi romito
Nido  de' venti); e  il  pastorel ch'all'ombre
Meridiane  incerte ed  al  fiorito
Margo  adducea de'  fiumi
Le    sitibonde agnelle  , arguto  carme
Sonar  d'agresti  Pani
Udì  lungo  le ripe  ; e  tremar  l'onda
Vide , e   stupì , che non  palese al  guardo
La  faretra  Diva
Scendea  ne' caldi  flutti  , e  dall'immonda
Polve  tergea della  sanguinosa caccia
Il  niveo lato  e  le  verginee  braccia.

            Vissero  i fiori  e l'erbe,
Vissero  i boschi un dì  .  Conscie  le  molli
Aure , le  nubi  e  la  titania  lampa
Fur  dell'umana  gente , allor che ignuda
Te  per  le  piagge e i colli,
Ciprigna  luce  , alla  deserta  notte
Con  gli occhi  intenti  il  viator  seguendo,
Te  compagna  alla  via,  te  de'  mortali 
Pensosa  immaginò . Che  se  gl'impuri
Cittadini consorzi e le  fatali
Ire  fuggendo  e l'onte,
Gl'ispidi  tronchi  al petto  altri  nell'ime
Selve  remoto  accolse ,
Viva  fiamma  agitar  l'esangui  vene ,
Spirar  le foglie , e palpitar segreta 
Nel  doloroso  amplesso 
Dafne o  la  mesta  Filli , o di Climene
Pianger  credé  la  sconsolata prole 
Quel  che  sommerse in  Eridano il sole.

        Né  dell'umano  affanno ,
Rigide  balze  , i luttuosi  accenti
Voi  negletti  ferir mentre le vostre 
Paurose  latebre Eco  solinga,
Non  vano  error  de'  venti,
Ma  di ninfa  abitò  misero  spirito,
Cui  grave  amor  , cui  duro  fato  escluse 
Delle  tenere  membra  . Ella  per grotte,
Per  nudi  scogli  e desolati  alberghi ,
Le  non  ignote  ambasce e  l'alte e rotte
Nostre  querele  al curvo
Etra  insegnava.  E  te  d'umani  eventi
Disse  la fama  esperto,
Musico  augel  che  tra  chiomato  bosco
Or  vieni  il  rinascente anno  cantando,
E  lamentar  nell'alto
Ozio de'  campi , all'aer muto  e fosco,
Antichi  danni  e scellerato scorno ,
E  d'ira  e di pietà  pallido  il giorno.

            Ma  non  cognato  al nostro
Il  gener  tuo;  quelle tue  varie note
Dolor  non forma  , e  te  di colpa  ignudo,
Men  caro  assai la bruna  valle asconde.
Ahi  ahi,, poscia che vote
Son  le stanze  d'Olimpo  , e  cieco  il tuono 
Per  l'atre  nubi e le  montagne errando ,
Gl' iniqui petti  e  gli'innocenti  a  paro
In freddo  orror  dissolve  ; e  di sua  prole  ignaro 
Le  meste anime educa;
Tu  le cure  infelici  e fati  indegni
Tu  de'  mortali ascolta,
Vaga  natura , e  la  favilla  antica
Rendi  allo  spirito  mio ; se tu  pur  vivi,
E  se  de' nostri  affanni
Cosa  veruna in ciel  , se  nell'aprica
Terra  s'alberga o nell'equoreo seno,
Pietosa  no, ma  spettatrice almeno.

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