30-4-2019
Qual dagli antri marini
L'astro più caro a Venere
Co' rugiadosi crini
Fra le fuggenti tenebre
Appare, e il suo viaggio
Orna col lume dell'eterno raggio;
Sorgon così tue dive
Membra dall'egro talamo,
E in te beltà rivive;
L'aurea beltate, ond'ebbero
Ristoro unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti mortali.
Fiorir sul caro viso
Veggo la rosa; tornano
I grandi occhi al sorriso
Insidiando; e vegliano
Per te in novelli pianti
Trepide madri, e sospettose amanti.
Le Ore che dianzi meste
Ministre eran de' farmachi,
Oggi l'indica veste
E i monili, cui gemmano
Effigiati Dei,
Inclino studio di scalpelli achei,
E i candidi coturni
E gli amuleti recano,
Onde a' cori notturni,
Te, Dea, mirando obbliano
I garzoni le danze,
Te principio d'affanni e di speranze;
O quando l'arpa adorni,
E co' novelli numeri
E co' molli contorni
Delle forme , che facile
Bisso seconda, e intanto
Fra il basso sospirar vola il tuo canto,
Più periglioso; o quando
Balli disegni, e l'agile
Corpo all'aure fidando,
Ignoti vezzi sfuggono
Dai manti e dal negletto
Velo, scomposto sul commosso petto.
Tarti , lente
Cascan le trecce, nitide
Per ambrosia recente,
Mal fide all'aureo pettine,
E alla rosea ghirlanda
Che or con l'alma salute April ti manda.
Così, ancelle d'Amore,
A te d'intorno volano
Invidiate l'Ore.
Meste le Grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra, e il giorno dell'eterna pace.
Mortale guidatrice
D'oceanine vergini,
La parrasia pendice
Tenea la casta Artemide
E fea terror di cervi,
Lungi fischiar l'arco cidonio i nervi.
Lei predicò la Fama
Olimpia prole: pavido
Diva il mondo la chiama,
E le sacrò l'elisio
Soglio, ed il certo telo,
E i monti, e il carro della Luna in cielo.
Are così a Bellona,
Un tempo invitta amazzone,
Die' il vocale Elicona:
Ella il cimiero e l'egida
Or contro l'Anglia avara,
E le cavalle ed il furor prepara.
E quella, a cui di sacro
Mirto te veggo cingere
Devota il simulacro
Che presiede marmoreo
Agli arcani tuoi lari,
Ove a me sol sacerdotessa appari,
Regina fu: Citera
E Cipro, ove perpetua
Odora primavera,
Regnò beata, e l'isole
Che col selvoso dorso
Rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.
Ebbi in quel mar la culla:
Ivi erra, ignudo spirito,
Di Faon la fanciulla;
E se il notturno zeffiro
Blando sui flutti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira!
Ond'io, pien del nativo
Aer sacro , sull'itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie;
E avrai, divina, i voti,
Fra gl'inni miei, delle insubri nepoti.
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