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venerdì 8 gennaio 2021

Giacomo Leopardi "La ginestra o il fiore del deserto" [ E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce, Giovanni , 3, 19]

8--1--2021
    Qui  su  l'arida  schiena
Del  formidabil  monte
Sterminator  Vesevo,
La  qual  null'altro  allegra arbor  né fiore,
Tuoi  cespi  solitari  intorno   spargi,
Odorata  ginestra ,
Contenta  dei  deserti .  Anco   ti vidi
De'  tuoi steli  abbellir  l'erme  contrade
Che  cingon  la  cittade
La  qual  fu  donna  de' mortali  un tempo,
E  del  perduto  impero
Par  che  col  grave  e  taciturno  aspetto
Faccian  fede  e  ricordo  al passeggero.
Or  ti  riveggo   in questo  suol , di  tristi
Lochi  e  dal mondo  abbandonati  amante,
E  d'afflitte  fortune  ognor  compagna.
Questi  campi  cosparsi
Di  ceneri  infeconde , e ricoperti
Dell'impietrata  lava,
Che  sotto  i passi  al  peregrin  risona;
Dove s'annida  e si  contorce  al sole
La  serpe  , e  dove  al noto
Cavernoso covil  torna il coniglio;
Fur  liete  ville  e  colti,
E  biondeggiar   di spighe , e  risonaro
Di   muggito d'armenti;
Fur  giardini  e  palagi,
Agli  ozi  de'  potenti
Gradito  ospizio  ;  e fur  città  famose 
Che  coi  torrenti  suoi  l'altero  monte
Dall'ignea  bocca  fulminando  oppresse
Con  gli abitanti  insieme . Or  tutto  intorno
Una  ruina  involve,
Dove  tu  siedi , o  fior  gentile , e  quasi 
I  danni  altrui  commiserando  , al cielo 
Di  dolcissimo  odor  mandi  un profumo ,
Che  il deserto consola . A  queste  piagge 
Venga  colui  che  d'esaltar  con lode
Il  nostro  stato  ha  in uso , e  vegga  quanto
è  il genere  nostro  in cura 
All'amante  natura .  E  la  possanza 
Qui  con  giusta  misura 
Anco  estimar  potrà   dell' uman  seme,
Cui  la dura  nutrice , ov'ei  men  teme,
Con   lieve  moto  in un  momento  annulla
In  parte , e  può  con  moti
Poco  men  lievi  ancor  subitamente 
Annichilare  in tutto,
Dipinte  in queste rive
Son  dell'umana  gente
Le  magnifiche  sorti  e progressive.

    Qui  mira  e qui  ti   specchia ,
Secol  superbo  e sciocco,
Che  il calle insino  allora 
Dal  risorto  pensier segnato  innanti
Abbandonasti  , e  volti  addietro  i passi,
Del  ritornar  ti  vanti,
E  procedere  il  chiami.
Al  tuo  pargoleggiar  gl'ingegni  tutti,
Di  cui  lor  sorte  rea  padre  ti  fece
Vanno adulando  , ancora
Ch'a   ludibrio  talora
T'  abbian  fra  se. Non io
Con  tal  vergogna scenderò  sotterra;
Ma  il disprezzo  piuttosto  che  si serra
Di  te  nel  petto  mio,
Mostrato  avrò  quanto si possa  aperto;
Ben  ch'io  sappia  che  obblio
Preme  chi  troppo  all'età  propria  increbbe.
Di  questo  mal  , che  teco 
Mi fia  comune , assai finor mi  rido.
Libertà vai sognando , e servo a un tempo
Vuoi  di novo  il pensiero,
Sol  per cui  risorgemmo 
Della  barbarie  in parte , e  per cui  solo
Si  cresce in civiltà  , che  sola  in meglio
Guida  i pubblici  fati.
Così  ti  spiacque il  vero
Dell'aspra  sorte  e del depresso  loco
Che  natura  ci diè.  Per  questo  il  tergo
Vigliaccamente  rivolgesti  al lume
Che  il fe  palese ;   e,  fuggitivo  , appelli
Vil  chi   lui  segue  , e  solo
Magnanimo  colui
Che se  schernendo  o  gli  altri,  astuto  o folle,
Fin  sopra  gli astri  il mortal  grado  estolle.
    

    Uom   di povero  stato  e membra  inferme
Che  sia  dell'alma  generoso  ed  alto,
Non  chiama  a  se  né  stima 
Ricco  d'or  né   gagliardo,
E  di splendida  vita  o di  valente 
Persona  infra  la gente 
Non  fa  risibil mostra;
Ma  se  di forza  e di  tesor mendico
Lascia  parer  senza  vergogna , e  noma
Parlando  , apertamente , e  di sue cose
Fa stima  al  vero uguale .
Magnanimo  animale
Non  credo  io  già , ma  stolto,
Quel  che  nato  a perir  , nutrito  in pene,
Dice  , a  goder son  fatto,
E  di  fetido  orgoglio
Empie  le arte , eccelsi  fati  e nove
Felicità  , quali  il ciel  tutto  ignora,
Non  pur  quest'orbe  , promettendo  in terra
A popoli  che  un'onda
Di  mar  commosso, un  fiato
D'aura  maligna , un  sotterraneo  crollo
Distrugge  sì  , che  avanza 
A  gran  pena  di lor  la  rimembranza.
Nobil  natura  è quella
Che  a   sollevar  s'ardisce
Gli  occhi  mortali  incontra
Al  comun  fato,  e che  con  franca  lingua,
Nulla  al  ver   detraendo ,
Confessa  il mal  che  ci fu   dato  in sorte,
E  il basso  stato  e  frale;
Quella  che  grande  e forte
Mostra  se  nel soffrir  , né  gli  odii e l'ire
Fraterne,   ancor  più  gravi
D'ogni  altro  danno , accresce
Alle  miserie  sue,  l'uomo  incolpando
Del  suo  dolor  , ma   dà  la colpa  a  quella
Che  veramente  è  rea  , che  de'  mortali
Madre    è  di parto  e  di voler  matrigna.
Costei  chiama  inimica;  e  incontro  a  questa  
Congiunta  esser  pensando,
Siccome  è  il vero  , ed  ordinata  in  pria
L'umana  compagnia,
Tutti  fra  se  confederati  estima
Gli uomini  , e  tutti  abbraccia 
Con  vero  amor  , porgendo
Valida e  pronta  ed  aspettando  aita
Negli  alterni  perigli e  nelle  angosce
Della  guerra   comune  . Ed  alle  offese
Dell'uomo   armar  la destra  ,  e  laccio  porre
Al  vicino  ed  inciampo ,
Stolto  crede  così  qual  forza  in campo 
Cinto  d'oste contraria  , in  sul  più  vivo
Incalzar  degli  assalti,
Gl'inimici  obbliando  , acerbe  gare 
Imprender  con  gli amici ,
E  sparger  fuga e fulminar  col  brando
Infra  i propri  guerrieri.
Così  fatti  pensieri
Quando  fien   , come  fur  , palesi  al volgo,
E  quell'orror  che  primo 
Contra  l'empia   natura
Strinse  i mortali in  social catena,
Fia  ricondotto in parte
Da  verace  saper  , l'onesto  e il retto
Conversar  cittadino,
E  giustizia  e  pietade  , altra  radice
Avranno  allor  che  non  superbe  fole,
Ove  fondata  probità  del  volgo
Così star  suole  in piede 
Quale  star  può  quel  ch'ha  in  error la sede.
    

    Sovente in queste  rive,
Che,  desolate  ,  a  bruno
Veste il flutto  indurato  , e  par  che  ondeggi,
Seggo  la notte;  e su  la mesta  landa
In  purissimo  azzurro
Veggo  dall'alto  fiammeggiar  le stelle,
Cui  di lontan  fa specchio
Il mare ,  e tutto  di scintille  in giro
Per  lo  voto  seren  brillar  il mondo.
E  poi  che  gli occhi  a quelle  luci  appunto ,
Ch'a  lor  sembrano  un punto,
E  sono  immense , in  guisa
Che  un punto  a petto  a lor  son  terra  e mare
Veracemente  ;  a cui  
L'umo  non  pur , ma  questo
Globo  ove  l'uomo  è nulla,
Sconosciuto  è del tutto  ,  e quando  miro
Quegli  ancor  più  senz'alcun  fin  remoti
Nodi  quasi  di stelle,
Ch'a  noi  paion  qual  nebbia  , a cui  non  l'uomo
E  non  la terra  sol, ma  tutte  in uno,
Del  numero  infinite  e  della  mole,
Con  l'aureo  sole  insiem  , le  nostre  stelle
O  sono  ignote , o  così  paion come
Essi alla  terra  , un  punto
Di  luce  nebulosa;  al  pensier mio
Che  sembri  allora, o prole
Dell'uomo ?  E  rimembrando
Il  tuo  stato  quaggiù , di  cui  fa  segno
I l  suol  ch'io  premo  ;  e poi  dall'altra  parte,
Che  te  signora  e fine
Credi  tu  data  al  Tutto , e  quante  volte
Favoleggiar  ti piacque, in questo  oscuro
Granel  di sabbia , il  qual  di terra  ha  nome,
Per  tua  cagion  , dell'universe  cose
Scender gli  autori  , e  conversar sovente
Co' tuoi   piacevolmente , e  che  i  derisi
Sogni  rinnovellando , ai  saggi  insulta
Fin  la presente  età , che  in  conoscenza 
Ed  in  civil  costume 
Sembra  tutte  avanzar ;  qual  moto  allora,
Mortal  prole infelice , o  qual  pensiero
Verso te  finalmente  il cor  m'assale?
Non  so se  il riso  o la  pietà  prevale.

    Come  d'arbor cadendo  un  picciol  pomo,
Cui  là  nel tardo  autunno
Maturità  senz'altra   forza atterra,
D'un  popol  di formiche  i dolci  alberghi,
Cavati  in molle  gleba
Con  gran  lavoro , e  l'opre
E  le  ricchezze  che  adunate  a prova
Con  lungo  affaticar  l'assidua  gente
Avea  provvidamente  al tempo estivo,
Schiaccia ,   diserta  e copre
In  un punto  ;  così  d'alto  piombando,
Dall'utero  tonante
Scaglia  al ciel  profondo,
Di  ceneri  e di  pomici  e di  sassi
Notte  e ruina , infusa
Di   bollenti  ruscelli,
O  pel  montano  fianco
Furiosa  tra  l'erba
Di  liquefatti  massi
E  di  metalli e  d'infocata    arena
Scendendo  immensa  piena,
Le  cittadi  che  il mar  là  su  l'estremo
Lido  aspergea  , confuse
E  infranse  e ricoperse
In  pochi  istati  :  onde  su  quelle  or  pasce
La  capra , e  città  nove
Sorgon  dall'altra  banda  , a cui  sgabello
Son  le sepolte  , e  le  prostrate mura
L'arduo  monte al  suo  piè  quasi  calpesta.
Non  ha  natura  al seme
Dell'uomo  più  stima  o cura
Che  alla  formica  : se più rara  in quello
Che  nell'altra  è la strage,
Non  avvien  ciò  d'altronde
Fuor  che  l'uom  sue  prosapie  ha  men  feconde.

    Ben   mille  ed  ottocento  
Anni  varcar  poi  che  spariro , oppressi
Dall'ignea forza , i  popolati seggi,
E  il  villanello  intento
Ai  vigneti  , che  a stento in questi  campi 
Nutre  la  morta zolla e  incenerita  ,
Ancor  leva  lo  sguardo
Sospettoso  alla  vetta
Fatal  , che  nulla  ma  fatta  più  mite
Ancor  siede  tremenda,  ancor  minaccia
A lui  strage  ed  ai  figli ed  agli averi
Lor  poverelli . E  spesso
Il  meschino in sul  tetto
Dell'ostel  villereccio, alla  vagante 
Aura   giacendo  tutta  notte insonne ,
E  balzando  più  volte  , esplora  il corso
Del  temuto  bollor  , che  si  riversa
Dall'inesausto  grembo
Su  l'arenoso  dorso , a cui riluce
Di  Capri  la marina
E  di Napoli  il porto e  Mergellina.
E  se  appressar  lo  vede , or  se nel  cupo
Del  domestico pozzo  ode  mai  l'acqua 
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta  la moglie in fretta, e via , con  quanto
Di  lor  cose rapir  posson , fuggendo,
Vede  lontan  l'usato
Suo  nido  , e  il picciol campo,
Che  gli  fu  dalla  fame  unico  schermo,
Preda  al  flutto  rovente,
Che  crepitando  giunge , e  inesorato
Durabilmente  sovra quei si  spiega.
Torna  al  celeste  raggio
Dopo l'antica  obblivion  l'estinta
Pompei  , come sepolto
Scheletro , cui  di terra
Avarizia o pietà  rende  all'aperto,
E  dal deserto  foro  
Diritto  infra  le file
Dei  mozzi  colonnati  il  peregrino
Lunge  contempla  il  bipartito giogo
E  la cresta  fumante ,
Che alla  sparsa ruina ancor minaccia.
E  nell'orror  della  secreta notte
Per  li vacui  teatri ,
Per  li templi  deformi e per  le  rotte
Case  , ove  i  parti  il  pipistrello  asconde,
Come  sinistra  face 
Che  per  voti palagi  atra  s'aggiri,
Corre  il baglior  della  funerea  lava,
Che   di lontan  per l'ombre
Rosseggia  e  i  lochi  intorno  intorno  tinge.
Così  , dell'uomo  ignara  e  dell'etadi
Ch'egli  chiama  antiche , e  del  seguir che  fanno 
Dopo  gli avi  e nepoti,
Sta  natura  ognor  verde  , anzi procede
Per  si  lungo  cammino
Che  sembra star .  Caggiono  i regni intanto,
Passan  genti  e  linguaggi, ella  nol  vede;
E  l'uom  d'eternità  s'arroga  il vanto.

    E  tu,  lenta  ginestra,
Che  di selve odorate
Queste campagne dispogliate  adorni,
Anche  tu  presto  alla  crudel  possanza
Soccomberai  del  sotterraneo  foco,
che  ritornando al loco 
Già  noto,  stenderà  l'avaro  lembo
Su  tue  molli foreste . E  piegherai
Sotto  il fascio mortal non  renitente
Il  tuo  capo  innocente;
Ma  non  piegato  insino  allora  indarno
Codardamente  supplicando  innanzi
Al  futuro  oppressor  ; ma  non  eretto
Con forsennato  orgoglio inver le stelle,
Nè  sul  deserto , dove
E  la sede e i  natali
Non  per  voler  ma  per  fortuna  avesti;
Ma  più  saggia  , ma  tanto 
Meno  inferma  dell'uom , quanto  le frali
Tue  stirpi  non  credesti 
O  dal fato  o dal  te  fatte  immortali.

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