30--4--2022
1
Sta Federico imperatore in Como.
Ed ecco un messaggero entra in Milano
Da Porta Nova a briglie abbandonate .
"Popolo di Milano , ei passa e chiede,
"Fatemi scorta al console Gherardo .
Il console era in mezzo de la piazza,
E il messagger piegato in su l'arcione
Parlò brevi parole e spronò via.
Allor fe' cenno il console Gherardo,
E squillaron le trombe a parlamento.
2
Squillarono le trombe a parlamento;
Ché non anche risurto era il palagio
Su' gran pilastri , né l'arengo v'era ,
Né torre v'era a la torre in cima
La campana . Fra i ruderi che neri
Verdeggiavan di spine , fra le basse
Case di legno , ne la breve piazza
I milanesi tenner parlamento
Al sol di maggio . Da finestre e porte
Le donne riguardavano e i fanciulli.
3
"Signori milanesi," il consol dice,
"La primavera in fior mena tedeschi
Pur come d'uso . Fanno pasqua i lurchi
Ne le lor tane , e poi calano a valle.
Per l'Engadina due scomunicati
Arcivescovi trassero lo sforzo.
Trasse la bionda imperatrice al sire
Il cuor fido e un esercito novello.
Como è co' i forti , e abbandonò la lega".
Il popol grida :" L'esterminio a Como!"
4
"Signori milanesi ," il consol dice ,
"L'imperator, fatto lo stuolo in Como ,
Move l'oste a raggiungere il marchese
Di Monferrato ed i pavesi . Quale
Volete , milanesi? od aspettare
Da l'argin novo riguardando in arme,
O mandar messi a Cesare, o affrontare
A lancia e spada il Barbarossa in campo?"
"A lancia e spada ," tona il parlamento,
"A lancia e spada , il Barbarossa , in campo!"
5
Or si fa innanzi Alberto di Giussano.
Di ben tutta la spalla egli soverchia
Gli accolti in piede al console d'intorno .
Ne la gran possa de la sua persona
Torreggia in mezzo al parlamento : ha in mano
La barbuta : la bruna capelliera
Il lato collo e l'ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
Ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
E la sua voce come tuon di maggio.
6
"Milanesi, fratelli , popol mio!
Vi sovvien" dice Alberto di Giussano
"Calen di marzo? I consoli sparuti
Cavalcarono a Lodi , e con le spade
Nude in man gli giurar l'obedienza.
Cavalcammo trecento , gli ponemmo
I nostri belli trentasei stendardi.
Mastro Guitelmo gli offerì le chiavi
Di Milano affamata . E non fu nulla".
7
"Vi sovvien" dice Alberto di Giussano
"E dì sesto di marzo? A i piedi ei volle
Tutti i fanti ed il popolo e le insegne.
Gli abitanti venian de le tre porte,
Il carroccio venia parato a guerra ;
Gran tratta poi di popolo , e le croci
Teneano in mano. Innanzi a lui le trombe
Del carroccio mandar gli ultimi squilli ,
Innanzi a lui l'antenna del carroccio
Inchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi".
8
"Vi sovvien?" dice Alberto di Giussano;
"Vestiti i sacchi de la penitenza ,
Co' piedi scalzi , con le corde al collo,
Sparsi i capi di cenere , nel fango
C'inginocchiammo, e tendevam le braccia,
E chiamavam misericordia . Tutti
Lacrimavan, signori e cavalieri,
A lui d'intorno . Ei , dritto, in piedi, presso
Lo scudo imperial, ci riguardava,
Muto , co 'l suo diamantino sguardo".
9
"Vi sovvien" dice Alberto di Giussano
"Che tornando a l'obbrobrio la dimane
Scorgemmo da la via l'imperatrice
Da i cancelli a guardarci? E pe' i cancelli
Noi gittammo le croci a lei gridando
---O bionda , o bella imperatrice , o fida,
O pia , mercé, mercé di nostre donne!--
Ella trassesi indietro . Egli c'impose
Porte e muro atterrar de le due cinte
Tanto ch'ei con schierata oste passasse".
10
"Vi sovvien?" dice Alberto di Giussano;
"Nove giorni aspettammo ; e si partiro
L'arcivescovo i conti e valvassori.
Venne al decimo il bando--Uscite , o tristi,
Con le donne co' i figli e con le robe:
Otto giorni vi dà l'imperatore.--
E noi corremmo urlando a Sant'Ambrogio ,
Ci abbracciammo a gli altari ed a i sepolcri.
Via da la chiesa , con le donne e i figli,
Via ci cacciaron come can tignosi".
11
" Vi sovvien" dice Alberto di Giussano
"La domenica triste de gli ulivi?
Ahi passion di Cristo e di Milano!
Da i quattro Corpi santi ad una ad una
Crosciar vedemmo le trecento torri
De la cerchia ; ed al fin per la ruina
Polverosa ci apparvero le case
Spezzate , smozzicate , sgretolate ;
Parean file di scheletri in cimitero.
Di sotto, l'ossa ardean de' nostri morti".
12
Così dicendo Alberto di Giussano
Con tutt'e due le man copriasi gli occhi,
E singhiozzava : in mezzo al parlamento
Singhiozzava e piangeva come un fanciullo.
Ed allora per tutto il parlamento
Trascorse quasi un fremito di belve.
Da le porte le donne e da i veroni ,
Pallide , scarmigliate , con le braccia
Tese e gli occhi sbarrati al parlamento ,
Urlavano --Uccidete il Barbarossa!--
13
"Or ecco ," dice Alberto di Giussano
"Ecco , io non piango più . Venne il dì di nostro ,
O milanesi , e vincere bisogna.
Ecco: io m'asciugo gli occhi , e a te guardando ,
O bel sole di Dio , fo sacramento :
Diman da sera i nostri morti avranno
Una dolce novella in purgatorio;
E la rechi pur io !" Ma il popol dice:
"Fia meglio i messi imperiali " . Il sole
Ridea calando dietro i Resegone.
= sono i versi che mi ricordano i tempi della scuola, ma rileggendoli , oggi mi fanno riflettere sulla nostra storia; sulla nostra volontà di combattere per la nostra libertà, contro qualsiasi tirannia. Oggi questi versi suonano profetici contro le nuove tirannie, dedico questi versi alla resistenza ucraina, ricordando che la resistenza contro un esercito invasore si combatte con le armi; da qui l'importanza di aiutare il popolo ucraino anche con le armi. Ma nello stesso tempo bisogna trovare altre vie , per fermare questi orrori.