20--12--2021
Non era ancor di là Nesso arrivato,
quando noi ci mettemmo per un bosco
che da neun sentiero era segnato.
Non fronda verde , ma di color fosco;
non rami schietti , ma nodosi e' nvolti;
non pomi v'erano , ma stecchi con tòsco.
Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelli fiere selvagge che 'n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi còlti .
Quivi le brume Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late , e colli e visi umani ,
piè con artigli , e pennuto 'l gran ventre ;
fanno lamenti in su li alberi strani.
E 'l buon maestro "Prima che più entre ,
sappi che se' nel secondo girone",
mi cominciò a dire , " e sarai mentre
che tu verrai ne l'orribil sabbione .
Però riguarda ben; sì vederai
cose che torrien fede al mio sermone".
Io sentia d'ogne parte trarre guai
e non vedea persona che 'l facesse;
per ch'io tutto smarrito m'arrestai.
Cred'io ch'ei credette ch'io credesse
che tante voci uscisser , tra quei bronchi,
da gente che per noi si nascondesse.
Però disse 'l maestro :"Se tu tronchi
qualche fraschetta d'una d'este piante ,
li pensier c'hai si faran tutti monchi".
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno ;
e 'l tronco suo gridò;" Perché mi schiante ?".
Da che fatto fu poi di sangue bruno ,
ricominciò a dir :" Perché mi scerpi?
non hai tu spirito di pietade alcuno?
Uomini fummo, e or siam fatti sterpi;
ben dovrebb' esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi".
Come d'un stizzo verde ch'arso sia
da l'un de' capi , che da l'altro geme
e cigola per vento che va via,
sì de la scheggia rotta usciva insieme
parole e sangue ; ond'io lasciai la cima
cadere , stetti come l'uom che teme.
"S'elli avesse potuto creder prima",
rispuose 'l savio mio , "anima lesa ,
ciò c'ha veduto pur con la mia rima,
non averebbe in te la man distesa ;
ma la cosa incredibile mi fece
indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa .
Ma dilli chi tu fosti , sì che 'n vece
d'alcun 'ammenda tua fama rinfreschi
nel mondo sù , dove tornar li lece".
E 'l tronco :" Sì col dolce dir m'adeschi,
ch'i' non posso tacere ; e voi non gravi
perch'io un poco a ragionar m'inveschi.
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo , e che le volsi ,
serrando e diserrando sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi;
fede portai al glorioso offizio ,
tanto ch'i ne perde ' li sonni e' polsi.
La meretrice che mai da l'ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio ,
infiammò contra me li animi tutti;
e li 'nfiammati infiammar sì Augusto ,
che 'lieti onor tornaro in tristi lutti.
L'animo mio, per disdegnoso gusto ,
credendo col morir fuggir disdegno ,
ingiusto fece me contra me giusto.
Per le nove radici d'esto legno
vi giuro che già mai ruppi fede
al mio segnor , che fu d'onor sì degno .
E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia , che giace
ancor del corpo che 'nvidia le diede".
Un poco attese , e poi "Da ch'el si tace ",
dissi 'l poeta a me, "non perder l'ora ;
ma parla, e chiedi a lui , se più ti piace".
Ond'io a lui:"Domandal tu ancora
di quel che credi ch'a me satisfaccia;
ch'i' non potrei , tanta pietà m'accora".
Perciò ricominciò :"Se l'om ti faccia
liberamente ciò che 'l tuo dir priega ,
spirito incarcerato , ancor ti piaccia
di dirne come l'anima si lega
in questi nocchi; e dinne , se tu puoi ,
s'alcuna mai di tai membra si spiega".
Allor soffiò il tronco forte , e poi
si convertì quel vento in cotal voce :
"Brievemente sarà risposto a voi.
Quando si parte l'anima feroce
dal corpo ond'ella stessa s'è disvelta,
Minòs la manda a la settima foce.
Cade in la selva , e non l'è parte scelta;
ma là dove fortuna la balestra ,
quivi germoglia come gran di spelta.
Surge in vermena e in pianta silvestra;
l'Arpie , pascendo poi de le sue foglie ,
fanno dolore , e al dolor fenestra .
Come l'altre verrem per nostre spoglie ,
ma non però ch'alcuna sen rivesta,
ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie .
Quivi le strascineremo , e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun de l'ombra sua molesta".
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
credendo ch'altro ne volesse dire,
quando noi fummo d'un romor sorpresi,
similmente a colui che venire
sente 'l porco e la caccia a la sua posta,
ch'ode le bestie , e le frasche stormire.
Ed ecco due da la sinistra costa ,
nudi e graffiati , fuggendo sì forte,
che de la selva rompieno ogni rosta.
Quel dinanzi :" Or accorri , accorri, morte!".
E l'altro , cui pareva tardar troppo ,
gridava :"Lano , sì non furo accorte
le gambe tue a le giostre dal Troppo!".
E poi che forse li fallia la lena,
di sé e d'un cespuglio fece un groppo .
Di rietro a loro era la selva piena
di nere cagne , bramose e correnti
come veltri ch'uscisser di catena.
In quel che s'appiattò miser li denti,
e quel dilacerato a brano a brano;
poi sen portar quelle membra dolenti.
Presemi allor la mia scorta per mano,
e menommi al cespuglio che piangea
per le rotture sanguinenti in vano.
"O Iacopo , dicea , "da Santo Andrea ,
che t'è giovato di me fare schermo?
che colpa ho io de la tua vita rea?".
Quando 'l maestro fu sovr'esso fermo,
disse "Chi fosti , che per tante punte
soffi con sangue doloroso sermo?".
Ed elli a noi :"O anime che giunte
siete a veder lo strazio disonesto
c'ha le mie fronde sì da me disgunte ,
raccoglietele al piè del tristo cesto.
I' fui de la città che nel Batista
mutò 'l primo padrone ; ond'ei per questo
sempre con l'arte sua la farà trista ;
e se non fosse che 'n sul passo d'Arno
rimane ancor di lui alcuna vista,
que' cittadin che poi la rifondarno
sovra 'l cener che d'Attila rimase ,
avrebber fatto lavorare indarno.
Io fei gibetto a me de le mie case".